Luca Maler (ca. 1480 - 1552)
L' importanza di Luca Maler nella costruzione
dei liuti ha pochi confronti nella storia. La qualifica che gli fu attribuita
da Lütgendorff di Stradivari del liuto gli rende onore. Fu davvero
una personalità dalla fama quasi leggendaria, offuscata solo
dalla scomparsa del liuto alla metà del Settecento, e la sua
abilità imprenditoriale, l'enorme ricchezza accumulata con la
conseguente crescita sociale, ed il respiro internazionale dei suoi
traffici ne fanno una figura molto simile al grande cremonese.
Certo il primo Cinquecento, in particolare
se vissuto in un centro attivo come Bologna, fu un periodo favorevole
al commercio; la vicinanza di Venezia e la relativa frequenza degli
scambi con la città lagunare offrirono l'occasione per raggiungere
i ricchi mercati dell'Oriente prima che la crisi economica e politica
dell'Europa meridionale avviasse una contrazione del mercato e si riducesse
la ricchezza disponibile.
Al nome di Luca Maler, con quello di
Hans Frei, è legata la grande fama della liuteria bolognese;
per due secoli si è parlato di liuti di Bologna come sinonimo
di strumenti di qualità, ed il prezzo degli strumenti bolognesi
era tre-quattro volte più alto della concorrenza. Con il declino
dell'uso del liuto nella pratica musicale si perse la memoria dei costruttori
un tempo celebri; ma fortunatamente un numero relativamente grande di
strumenti di Luca Maler ci è pervenuto, conservato in musei o
in collezioni private.
I liuti di Maler erano inventariati nella
prestigiosa collezione di strumenti musicali della famiglia Függer,
i quali grazie all'immensa ricchezza alla metà del '500 raccoglievano
tutto il meglio del mercato d'arte mondiale. In un anonimo metodo per
il liuto edito in Inghilterra nel primo '600 si legge che Laux Mauller
(Luca Maler) e Hunts Frith (Hans Frei) furono i due migliori liutai
vissuti a Bologna: resero i loro nomi immortali per il suono melodioso
prodotto da questi famosi strumenti, che saranno i migliori ancora per
molto tempo, tanto quanto piacerà a Dio di conservare l'armonia
dell'universo.
Constantin Huygens, padre del celebre
fisico e matematico Christian, era poeta e musicista; cercando a Parigi
un liuto bolognese si sentì rispondere che per avere tali strumenti
era necessario pagarli cari, nonostante le loro caratteristiche non
li rendessero più adatti all'esecuzione. Un liutista suo contemporaneo
gli rispondeva che i liuti del Maler rimasti non erano più di
cinquanta: e questo meno di un secolo dopo la morte del maestro. Un
liuto di Maler, si legge nel Musick's Monument di Mace, era stato pagato
dal re Carlo I d'Inghilterra la considerevole cifra di 100 sterline
d'oro.
Nell'opera che, pur tra molti errori
storici, concluse splendidamente il periodo di auge del liuto (la 'Ricerca
storica sul liuto' del colto liutista tedesco Ernst Baron), comparvero
parole di grande ammirazione per la qualità delle opere antiche
del Maler e del Frei. Poi, per un secolo e mezzo, sul liuto e sui suoi
costruttori si depositò la polvere dell'oblio. Le luci si accesero
sui grandi costruttori di violini, i liutai per antonomasia, ed i loro
strumenti dominavano il mercato. Ai primi storici che nella seconda
metà del XIX secolo si avventurarono sino alle origini dell'arte
liutaria (ad esempio, per l'Italia, il Valdrighi), le testimonianze
antiche della fama di Luca Maler e dei suoi strumenti risultarono incomprensibili.
Il magazzino dei liuti
Per cominciare ad illustrare la figura
professionale di Luca Maler bisogna partire dall' inventario legale
dei suoi beni stilato, in due riprese, pochi giorni dopo la sua morte,
accaduta il 5 luglio 1552. Questo documento è una fonte primaria
su cui fondare la considerazioni tecniche sull'attività di bottega;
a parte questo, infatti, l'unico atto in cui si parli specificamente
della produzione di liuti è il contratto con Marc Unverdorben
del 1530.
Passato lo stupore per la rilevanza del
magazzino, una prima considerazione che si può trarre dal lungo
elenco di strumenti e materiale da liuteria riguarda la presenza esclusiva
di legno già lavorato, mentre manca ogni accenno a legname grezzo.
Le forniture di fondi e di doghe già
lavorate potevano arrivare a Bologna direttamente dalla Germania o passare
tramite il mercato veneziano, e ci sono conferme di entrambe le procedure.
Però la distinzione tra fondi da leuto taiati e
schietti suggerisce che il legno viaggiasse in pezzi più
grezzi, poi rifiniti dal liutaio. Va ricordata una testimonianza coeva
di un diplomatico inglese, che nel 1548, passando da Füssen, registrò
come di lì partissero per molte città, ed in particolare
Venezia, grandi quantità di liuti finiti o in avanzata fase di
lavorazione; e che famiglie locali intrattenevano corri spondenti commerciali
in tutta Europa (in particolare, gli Angerer di Rückholz avevano
una rappresentanza in Milano ed in Bologna).
L'inventario degli strumenti finiti contava
638 liuti grandi, 366 piccoli, 15 mezzani e 107 di cui manca la specifica.
Con oltre 1100 liuti finiti, più di 1300 fondi pronti per essere
assemblati, ed alcune casse di doghe, questo è di gran lunga
il magazzino di liuteria più ricco del XVI secolo tra quelli
di cui abbiamo notizia. Una stima del valore di questi strumenti non
è possibile, poiché il notaio non ne specifica il prezzo.
Ma estrapolando i dati da un inventario romano del 1602, dove i liuti
ordinari sono stimati 8 giuli l'uno (cioè 4 lire bolognesi),
e da un inventario parigino del 1648 che comprende liuti bolognesi antichi
con quotazioni variabili tra le 30 e le 40 lire tornesi, si può
ipotizzare per i liuti del magazzino di Luca Maler un valore complessivo
tra le diecimila e le ventimila lire bolognesi.
Si tratta di un ordine di grandezza analogo
a quello delle proprietà immobilari del Maler, e di una cifra
di tutto rispetto. Il lunghissimo elenco di beni che compare nell'inventario
post-mortem di Luca Maler comprende inoltre una grande ricchezza mobile
in gioielli e medaglie, vestiti, mobili e altri oggetti. Le caratteristiche
della bottega di liuteria di Luca Maler, per come emergono dai documenti,
fanno pensare più ad una attività imprenditoriale in senso
contemporaneo che non alla tradizionale immagine di quotidiana, tranquilla
operosità, che la tradizione associa al liutaio - ed in genere
all'artigiano.
Il Senato bolognese in un documento del
1534 lo dice magister Lucas de Leutis Testudinum et Cithararum Opifex.
Poiché lungo tutto il XVI secolo resta usuale il termine leutarius,
ad indicare gli artigiani che costruiscono strumenti musicali a pizzico
o ad arco, con la rara eccezione di qualche citararius, nelle
parole del Senato quel 'fabbricante di liuti e di cetre' assimila Luca
Maler più agli opifices di tessuti o di sete, i rappresentanti
della ricca borghesia artigiana, che non all'artigianato minuto. I suoi
comportamenti economici, sociali e professionali confermano la sensazione.
I liutai della bottega di Luca
Maler
Non ci sono per ora elementi per affermare
che il Maler abbia costruito anche strumenti diversi dal liuto; se non
si vuol credere alla qualifica del Senato sopra citata che parla di
cetre, oppure alle parole di Bletschacher che gli attribuisce viole
e tiorbe.
L' azienda di Luca Maler funzionò
con certezza almeno dal 1518 al 1613, e dunque ben dopo la sua morte;
fu amministrata dopo il 1552 dalla famiglia del suo erede, probabilmente
ancora con l'etichetta del maestro. In molti atti il successore del
Maler viene indicato come Leonardo Sturmer alias Maler, o semplicemente
come Leonardo Maler.
Nella bottega passarono numerosi liutai,
per la maggior parte tedeschi. Di molti di loro resta traccia (nome,
provenienza) nei documenti del Maler, poiché furono testimoni
dei suoi atti pubblici, legatari di suoi lasciti, o con lui si imparentarono.
Un fratello di Luca, Sismondo o Sigismondo, fu liutaio celebrato; ma
probabilmente la sua attività si concentrò a Venezia.
Si parla di lui come di un artigiano (magister) in due atti
bolognesi del 1518, ma è detto assente dalla città. Nel
1527 Sigismondo era sicuramente a Venezia, dove un emissario del Duca
di Ferrara Alfonso I d'Este gli chiese la 'ricetta' della vernice dei
liuti. Nella interessante corrispondenza pubblicata dal Valdrighi si
leggono notizie su di lui: il Maler aveva due ricette diverse per la
vernice, aveva fama qui d'havere cervello bizaro, benché
fosse in realtà persona a modo, ed essendo ben provvisto di danaro
si accontentò come ricompensa di due para de meglioramenti
(capitoni) che il Duca graziosamente gli fece pervenire.
L'unico figlio di Luca, Sigismondo (omonimo
dello zio), nei documenti bolognesi non viene mai indicato leutarius
e nemmeno magister; essendo morto in giovane età non
fece probabilmente in tempo a divenire liutaio. Certo questa era la
volontà del padre che nel 1530 gli aveva assegnato un abile maestro
che lo educasse nell'arte di fabbricare i liuti. L'insegnante scelto
dal Maler per il figlio era un maestro celebre del suo tempo, Marc Unverdorben.
Nel contratto che stese con Luca Maler l'Unverdorben, definito maestro
di liuti, si impegnava per un anno ad assicurare la sua opera a Sigismondo
figlio di Luca Maler nella costruzione di liuti, così come in
passato aveva fatto con lo stesso Luca.Al maestro di liuti spettava
un salario di 30 raynes, moneta tedesca usata frequentemente nei contratti
tra alemani, che equivalevano a 75 lire bolognesi, oltre al vitto e
all'alloggio.
Unverdorben viene chiamato gargionus
del Maler, ma la qualifica è formale, poiché lo stesso
notaio qualche riga prima lo aveva detto leutarius et magister a
leutis. In questo atto di lui viene indicato solo il nome ed il
patronimico, ma la sua identità si ricava con sicurezza dall'incrocio
di altri documenti redatti nello stesso periodo. L' Unverdorben era
a Bologna nel 1527, testimone di un contratto stipulato tra Luca Maler
ed un artigiano tedesco, Giovanni Gisoli alias Batilori (anche in questo
caso il soprannome deriva dalla professione di battiloro). Il suo arrivo
in città fu probabilmente legato alla parentela con il Maler,
che nel primo testamento (del 1530) lo indicò destinatario di
un lascito dicendolo suo cugino.
Unverdorben sposò la figlia del
Gisoli, Angela; nel contratto con cui Marco si impegnava ad aiutare
Sigismondo Maler nella costruzione dei liuti, Angela si impegnava ad
aver cura della casa. Dopo il 1530 mancano notizie sulla presenza a
Bologna di Marc Unverdorben; ciò conferma la tesi che il liutaio
tedesco abbia trascorso la maggior parte della sua vita professionale
a Venezia, così come lasciano pensare le etichette degli strumenti
da lui firmati. Le vicissitudini che accompagnano il secondo ed ultimo
testamento di Luca Maler, perso nell'originale e noto solo in base alla
trascrizione di una dichiarazione del suo erede universale, impediscono
di affermare con sicurezza che Marco Oserdoni magister leutorum
nella città di Venezia, alle cui figlie spetta un lascito, sia
l'Unverdorben; benché ciò si debba ritenere molto probabile.
Un ruolo di rilievo nella bottega di Luca Maler fu esercitato dai liutai
della famiglia Pos.
Anche nel loro caso si mescolarono rapporti
di parentela e legami professionali, affari e sentimenti, in un intreccio
difficile da districare. Giovanni (Hans) Pos fu cognato di Luca Maler,
avendone sposato la sorella Anna. Visse per un certo periodo con la
sua numerosa famiglia a Bologna, probabilmente in casa del Maler, poiché
qui vennero rogati gli atti relativi al Pos ed ai suoi familiari. Viene
qualificato leutarius in tutti gli atti successivi al 1530,
e compare tra i creditori del Maler dopo la morte per la somma di 187
lire, probabilmente salari non pagati (è somma di rilievo, equivalente
ad alcuni anni di lavoro. Si ricordi che l'Unverdorben, per un anno,
percepiva 75 lire). Ma a questa data (1552) Giovanni Pos era rientrato
da qualche anno in Germania con la moglie per prendere possesso di beni
della famiglia Maler.
Un atto del 1528 lo dice svizzero di
Berna (ma non è completamente attendibile) e capitano di ventura.
Un ufficiale lanzichenecco, dunque, che combatté anche nella
famigerata calata del 1527 e che, smesse le armi, si unì poi
al cognato in una attività che continuò anche dopo il
definitivo ritorno in Germania, nonostante gravi accuse di concorrenza
sleale rivoltegli dai corporati dell'arte dei mobilieri di Schongau.
Furono liutai anche i suoi figli. Luca (Laux) Pos, in particolare, è
considerato uno dei liutai più celebri della seconda metà
del XVI secolo, e ben sette strumenti di sua produzione sono elencati
nell'inventario della collezione Függer.
La predilezione verso il piccolo Luca
da parte del celebre zio ed il ruolo privilegiato cui era destinato
nella strategia "aziendale" emergono dalla cura con cui sono
dettati i particolari della formazione professionale del giovane Luca
Pos nel testamento del Maler del 1530. Sino al suo diciottesimo compleanno
viene disposto che egli abbia diritto a tutto il necessario per essere
istruito nella professione del liutaio; oltre ad assicurargli le esigenze
primarie, vitto alloggio e vestiti, l'eredità del Maler gli avrebbe
permesso di coprire tutte le spese per una completa istruzione. A Luca
sarebbero toccati inoltre 10 fiorini, dopo i diciotto anni.
L'inutilità del testamento del
1530, a cui il Maler sarebbe sopravvissuto oltre venti anni, ed il diverso
corso delle vicende rispetto alle volontà del maestro, inducono
una riflessione: se l'obiettivo di Luca Maler era quello di formare
il nipote - cui era legato anche dall'omonimia reverenziale - per poi
lasciargli la successione nella gestione della bottega, qualche cambiamento
deve essere poi intervenuto a modificarne i programmi.
Luca Pos era ancora presente a Bologna
nel 1549, quando ricevette dallo zio una donazione a favore di sua madre
nonché sorella del maestro, Anna Maler Pos, di case e terreni
in Germania. Dal 1550 la sua presenza è segnalata a Schongau,
accanto al padre, e poi la sua carriera si sviluppò a Augusta,
dove fu liutaio di corte dei Függer. Gli altri due figli maschi
di Giovanni Pos sono nominati negli atti italiani come Zanino e Pandolfo;
quest'ultimo potrebbe essere Wolf Pos, liutaio attivo a Praga negli
anni '90 del XVI secolo. Anche Zanino probabilmente fu liutaio, destinatario
di un lascito da parte di Luca Maler; nell' elenco dei suoi creditori
infatti compare un liutaio operaio nella bottega del Maler, Zanino Porus,
evidente storpiatura del cognome Pos.
Erede e successore di Luca Maler, e continuatore
della attività della bottega, fu Leonardo Sturmer, marito di
una nipote del maestro e sorella di Luca Pos. Anche Sturmer era tedesco
e liutaio. Questo induce a pensare che il cambio di strategia non sia
stato originato da una rottura nei rapporti, ma da ragioni più
oggettive: la volontà di prendere possesso dei beni di famiglia
in Germania, ad esempio, oppure una probabile crisi commerciale sul
mercato italiano attorno agli anni '50 - come apparirà più
avanti, in questo periodo si modificano sostanzialmente i comportamenti
finanziari del Maler -, oppure ancora un'eccessiva concorrenza sulla
piazza bolognese, dove proprio alla fine degli anni '40 si affermò
anche Hans Frei.
Leonardo Sturmer è completamente
sconosciuto a tutti i compilatori di opere sulla storia della liuteria.
La circostanza che non sia giunto sino a noi nemmeno uno strumento recante
il suo nome, né alcun riferimento alla sua professione di liutaio,
induce a pensare che lo Sturmer abbia utilizzato per i suoi strumenti
le etichette a stampa con il nome del suo maestro.
Da alcuni atti appare evidente che lo
Sturmer era comunemente chiamato "Maler" (Leonardo Sturmer
alias Maler, o anche solo Leonardo Maler); la sua qualifica di liutaio
è già esplicita in un documento del 1543, quando abitava
nella casa di Luca Maler, e risultava, oltre che liutaio, ebanista.
Con la sola indicazione di liutaio, che però nel 1552 mutò
in quella più prestigiosa di maestro di liuti, lo Sturmer viene
qualificato in numerosissimi atti sino alla metà degli anni '70.
Alla morte di Luca Maler, Sturmer dichiarò
di dover ancora ricevere una somma di tutto rispetto (60 scudi, oltre
240 lire) per il suo lavoro di operaio nella bottega del maestro. In
quella stessa bottega egli continuò ad esercitare la sua professione;
nel 1573 un documento indica sia Leonardo che il figlio Gerolamo maestri
e fabbricanti di liuti.
Così la morte di Girolamo, avvenuta
nel 1613, può essere fissata come la data finale nella storia
della bottega di liuteria della famiglia Maler. Infine va annotato il
nome di Giorgio Zamanni, probabilmente a sua volta operaio nella bottega
di Leonardo Maler, liutaio tedesco che dopo il 1557 è spesso
testimone di contratti rogati in bottega dallo Sturmer. Resta difficile
immaginare la destinazione dei tanti strumenti prodotti dal Maler o
dai suoi collaboratori. Non si può pensare che fossero assorbiti
dal mercato locale: ed infatti i liuti presenti in bottega sono pochi
(47 liuti più 27 fondi). Restano due ipotesi: la prima, che dalla
bottega bolognese si dipartisse un commercio sovralocale tramite, ad
esempio, il mercato veneziano, diretto anche verso i mercati orientali.
Questa ultima tesi è supportata dalla tradizione, che ha sempre
ritenuto l'Oriente un ottimo cliente per i liutai, e da un particolare
dell'inventario legale dei beni del Maler, dove compaiono alcuni oggetti
preziosi provenienti dalle corti orientali.
Inoltre, con una lettura moderna, si
può supporre che in tempi travagliati un ricco magazzino di strumenti
musicali apparisse come un immobilizzo sicuro di capitali, convertiti
in merce non deperibile che anzi si apprezzava con il tempo, ed in più
poco appetibile dai malintenzionati.
Restano da segnalare, dall'inventario
del 1552, le altre voci interessanti per la ricostruzione della bottega
del liutaio e della sua vita professionale nel XVI secolo: si trovano
custodie e serrature per conservare i liuti, casse di corde per i liuti,
colla da lavoro e vari attrezzi da falegnameria.
Luca Maler: la vita e la fortuna
economica
Poiché l'atto notarile, in genere
la più ricca fonte di informazioni sulla vita quotidiana nel
passato, si configura come il comportamento di un soggetto adulto e
a tutti gli effetti facente parte della comunità, non è
sorprendente che - nonostante il Maler fosse arrivato a Bologna a cavallo
del 1500 -, i primi documenti bolognesi che lo nominano risalgano al
1518.
Si tratta di due atti relativi all'affitto
di un terreno in campagna, e all'acquisto di beni immobili su questi
terreni. Nel secondo di questi rogiti, il Maler pagò in contanti
300 lire bolognesi, somma di una certa rilevanza. Prende avvio la strategia
di investimenti del Maler, i cui atti mostrano come egli si sia dedicato
inizialmente alla formazione di una significativa proprietà terriera
nel contado bolognese, per passare in seguito, dopo una fase di investimenti
nell'edilizia cittadina attorno agli anni '30, alla speculazione finanziaria
vera e propria.
Probabilmente Luca Maler giunse a Bologna
nei primissimi anni del 1500, prima del 1503. Un periodo particolarmente
difficile per la vita politica ed economica della città, oppressa
dalle guerre d'Italia, dalle pressioni pontificie per riconquistarne
il dominio, dalla crisi della signoria bentivolesca e dalle continue
carestie.
In occasione di una di queste, proprio
nel 1503, il Senato deliberò di espellere i forestieri che si
trovassero in città da meno di due anni, e un analogo provvedimento
fu disposto per l'estate del 1504. Se Luca Maler avesse tentato il suo
ingresso nella comunità bolognese in questi anni sarebbe stato
colpito da queste espulsioni. In questo caso si deve ipotizzare un processo
di integrazione 'a tappe' da parte del Maler, ipotesi che richiede uno
stretto collegamento del liutaio con almeno due comunità tedesche,
una fuori Bologna (probabilmente quella veneziana) che lo accogliesse
durante il bando, ed una all'interno della città, a cui far riferimento
in occasione dei ritorni.
La residenza del Maler in Bologna era,
nel 1518, sotto la minuscola parrocchia di San Martino dei Caccianemici
Piccoli, e cioè a ridosso dell' Ufficio delle Bollette, principale
punto di riferimento per gli stranieri che entravano in città,
che vi dovevano ritirare la bolletta obbligatoria per poter alloggiare
in Bologna.
La sua fama di liutaio era già
diffusa negli anni '20, come appare evidente dalla sempre maggiore disponibilità
di danaro, ma soprattutto da una lettera, che ci è pervenuta,
di un cliente di grande prestigio: il marchese Federico II Gonzaga,
che nel 1523 richiese al fratello Don Ercole, a Bologna, un liuto del
Maler, uno lyuto mezano cioè che non fosse grande ne anche
piccolo et bono in excellentia.
Negli anni '20, come detto, numerosi
atti sembrano affermare un interesse del liutaio verso la costituzione
di una consistente proprietà agricola, concentrata in una località
del contado bolognese, detta à San Sixto, nel comune
di Quarto Superiore. Dopo la sua morte la possessione di campagna misurava
poco meno di 60 tornature (circa 12 ettari), dotate di una casa padronale
e numerosi edifici accessori.
Con l'acquisto nel 1526 della casa posta
in via Marescalchi all'angolo con via San Mamolo, una casa prestigiosa
con torre ricordata dai principali memorialisti bolognesi, il liutaio
compì il primo passo nel percorso della sua ascesa sociale. Si
trattava di una grande casa padronale composta dal piano nobile, in
cui si trovavano tra l'altro la salvaroba, tre camere e due stanze da
li leuti; un'altana, necessaria per la verniciatura degli strumenti,
con vari camerini; e, al piano della strada, numerose botteghe, una
delle quali era la butegha di liuteria vera e propria, alcune camere,
la loggia (loza), la stalla e la cantina, oltre al cortile
con il pozzo.
Rispetto ai rogiti precedenti è
molto più alto l'ordine della spesa, ammontante ora a 2750 lire,
pagate in contanti. Ma, più importante, mutarono i referenti
del tedesco: non più gli artigiani, calzolai pellicciai vellutai
battiloro ecc., con i quali sinora aveva trattato e contrattato, bensì
divennero suoi interlocutori i rappresentanti di alcune delle famiglie
più in vista di Bologna, i Boccadiferro, i Gozzadini, i Bolognetti,
i Fantuzzi, ed altri ancora.
Alla fine degli anni '20 il successo
commerciale della bottega di Luca Maler appare indiscutibile. L'insediamento
nel cuore di Bologna (in realtà non lontano dalla precedente
abitazione) è certamente legato alla tradizionale presenza, sulla
via San Mamolo, delle botteghe liutarie della città. Già
celebre ed abile commercialmente, il Maler deve aver sfruttato la grande
occasione che la città visse all'inizio del 1530, in occasione
dell'incoronazione di Carlo V ad imperatore. Come scrisse un cronista,
"Quando si partirono da Bologna Papa Clemente Settimo &
l'Imperatore Carlo Quinto, lasciarono i cittadini tutti allegri, &
contenti, così per la gran varietà di cose nuove, &
per li trionfi, che si erano veduti; come per l'abondanza de i danari
ch'erano restati nella Città, per lo gran concorso de i Prencipi,
Signori, & Cortigiani di ogni sorte, i quali per farsi honore havevano
speso largamente in tutte le cose".
Dopo l'acquisto del corpo principale,
il Maler proseguì nell'edificazione della sua residenza secondo
una prassi frequente nella creazione degli edifici patrizi, cioè
acquistando le casupole limitrofe e procedendo, con un ristrutturazione,
al loro accorpamento. In relazione alle procedure connesse con questa
attività edilizia Luca Maler dovette richiedere un'autorizzazione
al Senato bolognese per poter occupare la strada pubblica durante i
lavori di rifacimento, e. nel verbale con cui gli venne concesso il
benestare, nel 1534, egli viene qualificato maestro fabbricatore di
liuti e cetre.
Durante le sue assenze da Bologna era
il figlio Sigismondo che agiva con procura, contrattando acquisti e
locazioni. Va segnalato però che dopo il 1518 e sino alla morte,
Luca Maler lascia tracce certe della sua presenza in città quasi
senza soluzione di continuità, a parte un breve arco di tempo
tra 1535 e 1536. Il patrimonio immobiliare, una volta costituito, fu
oggetto di speculazioni: i terreni di campagna venivano concessi a mezzadria;
mentre le proprietà di città, in particolare le numerose
botteghe, erano affittate ad artigiani.
Nella grande quantità di contratti,
relativi prevalentemente a botteghe, conclusi tra il 1537 ed il 1541,
il Maler dimostra una grande disponibilità di danaro, anche sotto
forma di scudi d'oro, moneta sovralocale che dovrebbe essere conseguenza
e testimonianza di scambi commerciali con l'estero. Gli atti di questi
anni mostrano anche la spregiudicatezza del tedesco, che si accentuò
col passare del tempo sino a condurlo ad operazioni poco chiare, i cui
effetti gli costarono numerose cause civili, di cui lascerà spiacevole
eredità anche ai suoi successori.
Dopo il 1541 l'attività finanziaria
di Luca Maler appare molto mutata rispetto al passato. Resta documentato,
negli ultimi dieci anni di vita del maestro, un solo acquisto immobiliare,
mentre numerosi atti riguardarono movimenti esclusivamente finanziari,
in particolare prestiti e depositi. Alcune rilevanti acquisizioni di
denaro liquido non trovano nei documenti rimasti la prova di un successivo
investimento di analoga entità. Ciò si può spiegare
in due modi: o con difficoltà economiche del Maler; oppure con
l'obiettivo della creazione del rilevantissimo magazzino commerciale,
come effettivamente è quello inventariato dopo la sua morte,
il cui valore è paragonabile con quello delle proprietà
immobiliari. Il bisogno di liquidità si manifesta nell'assunzione
di numerosi depositi in custodia di valori monetari, così come
resta documentato che il Maler si rivolgesse ai banchi ebrei per ottenere
prestiti su pegno.
Calcolare con precisione la sua fortuna
alla morte risultò già difficile per il suo erede, che
accettò con beneficio di inventario; e lo è tanto di più
sulla sola base dei documenti pervenutici. Il valore dei beni immobili
venduti dopo la sua morte fu di poco inferiore alle 20.000 lire, mentre
i beni mobili - tra i quali spiccano strumenti musicali, gioielli e
medaglie, ricche vesti ad altro ancora- dovevano godere complessivamente
di una stima di molto superiore.
I debiti 'reali', cioè relativi
a danaro preso a prestito o pagamenti non onorati, ammontavano a poche
migliaia di lire; ciò che disgregò la sua ricchezza fu
la necessità di pagare numerose doti, promesse o da restituire,
per un totale di quasi 20.000 lire bolognesi, ed i molti lasciti testamentari
disposti pochi mesi prima della morte.
La famiglia
Le complicate vicende familiari dei Maler
possono essere in buona parte ricostruite grazie ai molti documenti
rimasti e alle frequenti indicazioni di parentela che vi sono contenute.
L'origine della famiglia è sicuramente tedesca; Luca Maler proveniva
dall' Alamania Alta secondo un documento del 1520, e nel 1531
il notaio lo diceva originario di Augusta. Poi viene indicato genericamente
Alemanno, Germano o Teutonico; in un atto del 1540 si sottolinea la
provenienza dal ducato di Baviera, e nel 1542 lo si dice tedesco proveniente
da Saura (Saulorn) in Baviera. Nel 1549 un atto necessariamente preciso
per quanto riguarda la localizzazione dei luoghi lo specifica proveniente
dalla località di Tenga (Thengen, nel Baden), diocesi di Augusta,
ducato di Baviera.
Luca, la cui nascita è collocabile
tra il 1475 ed il 1485, era figlio di Conrad Maler, che risulta già
morto negli anni '20 del XVI secolo, e di Margherita, ancora viva all'epoca
della redazione del primo testamento (1530), in cui il Maler le assegnava
un vitalizio di 10 fiorini l'anno (che, al cambio fissato di 2:10 lire
bolognesi per fiorino, sommano 25 lire l'anno); la cifra appare esigua
ma si sa che la madre disponeva di proprietà in Germania. Il
Maler scese in Italia, come detto, nei primissimi anni del '500; ed
in Italia venne a vivere anche un suo fratello, il liutaio Sigismondo,
attivo a Venezia. Si ritrova un cenno a questo fratello nell'inventario
legale di Luca del 1552: tra le carte del maestro c'era Uno instrumento
di procura ... a rescodere ducati 35 doro da sismondo fratello di detto
m.o lucca per vigor de un scripto privato.
In Italia venne anche una sorella, Anna
moglie del liutaio Hans Pos. Dopo gli anni '40 la famiglia Pos si trasferì
di nuovo in Germania prendendo possesso dei beni immobili donati loro
da Luca Maler. Nei confronti di Anna, infatti, il Maler dimostrò
sempre grande affetto: le destinò un legato di 20 raynes
seu Bisilachos (50 lire) l'anno nel testamento del 1530; nel 1549
le intestò alcuni beni immobili a Thengen in Baviera, e nel testamento
del 1552 Anna ottenne un vitalizio di 6 scudi l'anno (circa 24 lire).
Le sue tre figlie ereditarono dal Maler
100 fiorini ciascuna (250 lire), ed i tre figli maschi ebbero 50 fiorini
ciascuno. Della prima moglie di Luca Maler, Giulia alias Marsibilia
del fu Giovanni tedesco, restano poche notizie. Non si può affermare
con sicurezza che suo padre fosse quel Giovanni dei liuti attivo a Bologna
alla fine del '400; certo era un uomo facoltoso, avendo pagato per la
figlia una ricca dote di 200 ducati d'oro larghi (all'inizio del XVI
sec. circa 700 lire bolognesi).
Nel suo primo testamento, Luca Maler
dispose che in caso di morte fosse restituita a Marsibilia la sua dote
più altrettanto danaro come lascito, oltre ai mantelli, i vestiti
ed i gioielli. Dall'unione tra il Maler e Marsibilia nacque un unico
figlio, chiamato Sigismondo come lo zio paterno; la sua breve vita appare
come il fulcro su cui poggiò la strategia sociale di Luca Maler,
e la sua morte ne simboleggia il sostanziale fallimento. La data di
nascita di Sigismondo non dovette essere lontana dal 1505, la sua morte
accadde prima del 1542.
Nell'estate del 1531 si celebrò
il suo matrimonio con Orsolina, figlia del pellicciaio Taddeo Ghelli,
altro rappresentante - più fortunato del Maler - dell'ascesa
di artigiani forestieri nella società bolognese all'inizio del
XVI secolo. Da questo matrimonio nacque una figlia, Maddalena Maler.
Dopo la morte di Sigismondo, Luca Maler, unendosi con il consuocero
Taddeo Ghelli in una strategia matrimoniale dalle grandi ambizioni,
progettò una ardita combinazione: nel 1542 venne concordato il
matrimonio tra Orsolina Ghelli vedova di Sigismondo ed un ricco mercante
appartenente ad una delle famiglie emergenti nell'aristocrazia bolognese,
Bartolomeo Bolognetti; e contemporaneamente la promessa di matrimonio
tra Maddalena Maler, ancora bambina, ed il giovane figlio di Bartolomeo,
Francesco Maria Bolognetti.
L'ingresso delle famiglie Maler-Ghelli
nella dinastia Bolognetti ebbe però un costo monetario molto
elevato, il cui onere spettò esclusivamente al Maler. Riguardo
ad Orsolina Ghelli, il liutaio dovette pattuire la restituzione al nuovo
marito della vedova della ricca dote nuziale (400 ducati d'oro, cioè
1500 lire bolognesi circa), che nel 1532 Taddeo Ghelli aveva versata
al Maler; aumentata ora di 600 lire per il lucro sopravvenuto.
Riguardo a Maddalena, le pretese del
Bolognetti appaiono straordinariamente esose: Luca Maler promise di
pagare, il giorno del matrimonio, 2000 scudi d'oro (cioè 7500
lire bolognesi circa), dunque molto di più del valore della possessione
di San Sisto, o l'equivalente di cinquanta anni di stipendio del maestro
di cappella di San Petronio. Il colpo di scena, nella storia della famiglia
Maler, non fu però il matrimonio di Maddalena, celebrato nell'ottobre
del 1548, ma quello dello stesso Luca Maler, che nel maggio 1549 sposò
in seconde nozze Emilia Fantuzzi, figlia del nobile Gandolfo, appartenente
ad una delle principali famiglie cittadine.
I fratelli di Emilia, in qualità
di eredi del patrimonio paterno, pagarono a Luca una dote di 1200 lire.
Non è chiaro il significato di questo gesto, compiuto da un uomo
già in età avanzata, anche se prevale l'impressione della
strategia sociale. Dopo la morte del Maler si venne inoltre a saper
e che, alla fine degli anni '40, egli aveva concepito una figlia, riconosciuta
e chiamata Margherita come la madre del liutaio, da una donna apparentemente
di modesta condizione, Bernardina Falcone da Carpi.
Nel palazzo di strada San Mamolo, oltre
a Luca Maler e ad Emilia Fantuzzi, restò - dopo la partenza di
Maddalena - solo la famiglia di una nipote di Luca, Barbara Pos. Figlia
di Anna Maler e Hans Pos, Barbara si era sposata con il liutaio tedesco
Leonardo Sturmer, il cui ruolo nella bottega e nella vita privata del
Maler si andava facendo sempre più rilevante, a partire dagli
anni '40 (quando si trova il primo segno della sua presenza a Bologna),
sino a divenirne l'erede universale assieme ai due figli maschi nati
dal suo matrimonio con Barbara, Girolamo e Giovanni Battista (nacque
in seguito un terzo figlio maschio, Luca).
La designazione ad eredi universali degli
Sturmer deve essere giunta a sorpresa, a giudicare dal putiferio di
liti che originò, e che Leonardo sbrigò lentamente, tra
1552 e 1558, liquidando il patrimonio immobiliare ma difendendo il capitale
di bottega, sottoposto a vari sequestri. L'impressione del lettore del
XX secolo è che Maler non intendesse lasciare i suoi averi ai
Bolognetti e ai Fantuzzi (subito dopo la morte di Luca, Emilia Fantuzzi
si risposò), e che abbia ritardato il più a lungo possibile
anche il pagamento di quanto effettivamente dovuto; può anche
essere che desiderasse mantenere integro e in mani esperte lo straordinario
magazzino della bottega di liuteria, a cui sembra aver dedicato tante
energie. L
eonardo Sturmer continuò a lavorare
a lungo, tenendo bottega di fronte a quella di Hans Frei. Nel 1569 veniva
ancora qualificato leutharius: in quell'occasione dispose la
dote in favore della figlia Sibilla, che andava in sposa ad un artigiano
tedesco secondo la migliore tradizione di famiglia. L'ultima propaggine
documentata della famiglia Maler si spinge già nel XVII secolo,
all'inizio del quale si trovano le tracce di Maddalena Maler Bolognetti,
ormai settantenne. La figlia del tedesco Sigismondo era una magnifica
e nobile Signora, e suo padre ora veniva ricordato come magnifico Signore;
la ricca vedova nell'aprile 1599 prestò del danaro ad un altro
aristocratico bolognese, il conte Luigi Ranuzzi de' Manzoli, che l'anno
dopo, dunque già nel nuovo secolo, restituì alla vecchia
Maddalena soldi ed interessi. Anche la presenza della famiglia Sturmer,
il cui cognome venne italianizzato in Sturni, è documentata per
tutto il Seicento sino ai primi anni del 700. La 'Natio Germanica' a
Bologna Risulta evidente come il rapporto tra Luca Maler e la comunità
tedesca a Bologna abbia costituito un capitolo importante nella vita
del liutaio, così come accadde per la gran parte dei numerosi
liutai tedeschi attivi in città tra il secolo XVI ed il XVII.
La
caratteristica comune appare la forte
coesione all'interno del gruppo, almeno sino a quando passaggi decisivi
(in particolare i matrimoni) non rendessero possibile l'integrazione
nella società ospitante: un caso esemplare in questo senso è
rappresentato dalle vicende della dinastia dei Pfanzelt, che in tre
generazioni completarono un'assimilazione che portò anche all'italianizzazione
del cognome. Il gruppo straniero si identificava in tradizioni professionali
comuni (a Bologna i tedeschi erano in genere studenti, soldati, orafi,
battiloro, liutai), nell'individuazione di zone urbane di residenza
(nel caso bolognese, la parrocchia di San Giovanni Battista dei Celestini,
densamente abitata da tedeschi), in comportamenti originali (nell'inventario
legale dei beni di Luca Maler spicca ad esempio una Imagine de un
Imperatore de rilevo). Anche l'atteggiamento cultuale sembra essere
caratteristico della comunità, che individua chiese e santi di
riferimento (in particolare, esisteva una chiesa di S.Maria degli Alemanni);
non ci sono però segni evidenti di interesse verso l'eresia protestante,
interesse che nel 1570 costò al liutaio tedesco Caspar Tieffenbrucker,
allora a Lione, il sequestro di otto strumenti musicali dalla bottega.
Anzi, il caso di Luca Maler richiama alla più ligia ortodossia
cattolica.
Nel 1530, nel suo primo testamento, il
liutaio dispose un lascito di 5 soldi a favore dell'altare della Vergine
di Hannover nella chiesa bolognese di San Giovanni dei Celestini. Pur
non essendoci notizie di questa venerazione, esiste tuttora nella chiesa
una statua lignea della Vergine voluta dai burattini tedeschi (i garzoni
che burattavano la farina, cioè la separavano dalla crusca),
in una cappella da loro mantenuta fino al 1609, quando per non poter
più sostenere le spese la vendettero ai colleghi italiani (i
quali sostituirono la statua con un quadro della Madonna di Pompei).
Esisteva un forte legame tra i tedeschi
di Bologna e la chiesa di San Giovanni Battista dei Celestini, dove
la famiglia Maler tenne una cappella, comprata da Luca e dismessa dai
suoi eredi nel 1573.
Riflessioni finali
La vicenda di Luca Maler offre, nell'ambito
della storia della liuteria, molteplici spunti di riflessione, anche
grazie alla ricchezza della documentazione rimasta. Nel suo sviluppo
coinvolge molti aspetti umani e professionali: l'emigrazione e l'integrazione
nella comunità ospitante, la bottega, le strategie di crescita
sociale e finanziaria, le permanenze nei rapporti con la nazione d'origine,
le trasformazioni nel senso del tentativo di essere assorbiti dalle
strutture più rappresentative della nuova patria, come l'aristocrazia.
I risultati finali, nel caso del Maler,
sono controversi. Indiscutibile è il suo successo commerciale,
che gli consentì di raggiungere una ricchezza che lo pose ai
massimi livelli all'interno della società degli artigiani. Questa
ricchezza era legata agli esiti della sua attività artigianale
e commerciale, poiché i proventi da investimenti e speculazioni
appaiono alla fine poco rilevanti. In questo successo vanno ravvisate
abilità fuori dal comune, in particolare in senso imprenditoriale:
il numero di strumenti rinvenuti in magazzino alla morte del maestro,
oltre 1100 liuti finiti ed altrettanti in diverse fasi di costruzione,
induce a rileggere la figura del Maler come un abile gestore di manodopera,
che sapeva circondarsi di artigiani di grande efficienza, e soprattutto
come un intraprendente mercante, nella miglior tradizione cinquecentesca.
Evidentemente il Maler sapeva, o pensava
di sapere, come collocare sul mercato - certo un mercato internazionale,
di ampio respiro - un numero così grande di strumenti, ed un
magazzino così consistente doveva rappresentare ai suoi occhi
un capitale prontamente realizzabile.
Meno felice è invece l'esito della
strategia sociale di Luca Maler. Dal suo ingresso nella società
bolognese in poi, la rete delle relazioni familiari e commerciali sembra
seguire una trama ben precisa. A parte il costante rapporto con la comunità
tedesca, gli interessi del Maler sembrano dirigersi preferibilmente
verso l'ambiente artigianale prima degli anni '40, e verso l'aristocrazia
cittadina negli ultimi anni di vita.
La morte di suo figlio Sigismondo, e
dunque la perdita dell'erede che potesse proseguire nell'espansione
commerciale dell'attività liutaria, deve aver indotto il Maler
ad un ripensamento delle ambizioni sociali, spingendolo ad avviare una
politica matrimoniale che favorisse la giovane nipote Maddalena.
Il matrimonio del vecchio Luca Maler
con una Fantuzzi risulta invece più problematico da interpretare:
che sia stato motivato dalla speranza di un figlio legittimo, dopo aver
concepito in tarda età una figlia illegittima; o che sia stata
la brama di incassare una dote, per altro non particolarmente ricca;
o che sia stata una più sottile ambizione, che sfugge al lettore
del XX secolo, in tutti i casi sembra di poter affermare che il bilancio
finale dei tre anni di matrimonio con la Fantuzzi sia stato fallimentare,
al punto che la moglie venne ignorata nel testamento definitivo.
I tentativi di integrazione del Maler
sortirono dunque scarsi risultati. Le testimonianze dei rapporti con
la comunità tedesca evidenziano un forte legame con la cultura
d'origine; mentre i vincoli con la società bolognese, apparentemente
condizionati da motivi d'interesse, erano fragili e si dissolsero alle
prime difficoltà. Tutto ciò è ben documentato da
numerosi atti che riferiscono delle cause civili tra l'erede universale
di Luca Maler da una parte, e l'intero gruppo dei 'parenti' bolognesi
dall'altra.
La quantità di questi atti, ed
il loro contenuto polemico, induce a pensare che la scelta del vecchio
liutaio di lasciare tutto il suo patrimonio allo Sturmer, cioè
ad un artigiano e tedesco, sia stata una presa di posizione molto chiara,
interpretata con dispetto dalla comunità bolognese.
La famiglia Frei
Se dalla storia della liuteria abbiamo
ereditato poche notizie relative alla vita di Luca Maler, quelle che
ci sono pervenute riguardo Hans Frei sono praticamente nulle. Prima
del contributo di Baron, che lo poneva accanto al Maler per abilità
e periodo cronologico - dunque pensandolo attivo nel primo XV secolo
-, avevano accennato a lui come ad uno dei più grandi liutai
del tempo antico le stesse fonti che nominarono il Maler.
Le informazioni su Frei restano minime
anche nel XIX secolo; all'inizio del '900, nella grande opera enciclopedica
del Lütgendorff, la voce su Hans Frei offre informazioni preziose
accanto ad errori fuorvianti. Egli legge e riporta correttamente il
cognome del liutaio, scrivendo FREI e non Frey come nel passato. Fornisce
poi di seguito molti dati biografici, non riferiti però al liutaio
bolognese ma all'omonimo Hans Frei, scienziato musico poeta e altro
ancora, che fu anche suocero di Albrecht Dürer; questo Hans Frei
visse però una generazione prima del liutaio, fu probabilmente
a Bologna in gioventù, ma svolse la sua attività in Germania
sino alla morte nel 1523.
I contributi più recenti sono
almeno serviti a chiarire la distinta identità dei due Hans Frei,
benché nulla abbiano detto riguardo alla biografia del liutaio
bolognese. Tra gli strumenti superstiti che recano l'etichetta di Hans
Frei (un liuto al Museo di Stoccolma, due liuti al Kunsthistorische
Museum di Vienna, un liuto, sempre a 11 cori e circa del 1550, presso
il Warwick Museum di Londra) viene citata una tiorba del 1597 del Civico
Museo Medievale di Bologna. Su questo strumento è opportuno soffermarsi:
Van der Meer, in una recente analisi, lo definisce un liuto tenore attribuendo
la patente di originalità al solo corpo (guscio e tavola); ma
dubita che si tratti dell'assemblaggio di due strumenti diversi. In
origine lo strumento poteva avere tra sei e otto ordini, portati a dieci
con una modifica successiva (secoli XVII-XVIII). Van der Meer esclude
che la cassa possa provenire dalla bottega di Hans Frei, per alcune
difformità costruttive e per le caratteristiche dell'etichetta
(che nei liuti originali non reca mai la data). Ora è invece
possibile, grazie ai numerosi documenti, offrire una diversa ipotesi,
che confermerebbe autenticità di strumento ed etichetta. Hans
Frei (ca. 1505 - ca.1565).
Chi cercasse documenti relativi ad Hans
Frei negli archivi bolognesi resterebbe deluso per l'assenza del minimo
accenno. Esiste invece la possibilità di ricostruire, con dovizia
di particolari, le vicende biografiche del liutaio, solo chiarendo un
presupposto: spesso i cognomi tedeschi, negli atti italiani, venivano
storpiati (e così succederà ancora nel XVII secolo) o
trascrivendoli secondo la pronuncia, o traducendoli 'all'italiana'.
La versione del cognome Frei in Franco oppure, secondo l'uso padano,
inF ranchi, cioè 'libero', traduzione letterale del termine tedesco,
è attestata già da un esempio quattrocentesco, un Lienhart
Frei corrispondente del banco Medici che nei documenti medicei diviene
Leonardo Franco. Nel caso del liutaio, la ricerca si è rivelata
fruttuosa condotta su Giovanni (italiano per Hans) Franchi. Un indizio
proveniva già dall'articolo di Frati sui liutai bolognesi, là
dove è nominato un Giovanni Franchi liutaio a Bologna nel Cinquecento;
ma la breve citazione del Frati (benché precisa) risultava fuorviante
indicando la provenienza da Roma del liutaio.
Per suffragare l'ipotesi che Hans Frei
e Giovanni Franchi siano la stessa persona è stato necessario
prima di tutto evidenziare che il Franchi era liutaio ed era tedesco.
La sua qualifica di liutaio viene ribadita da tutti i notai dai quali
egli fa rogare i numerosi atti che lo riguardano (almeno trenta redatti
da sei diversi notai). Oltre all'esplicita apposizione di leutarius,
si ritrova il soprannome de leutis, tante volte attribuito
al Maler, e viene usato una volta anche magister leutorum che
manifesta il suo ruolo di capo-bottega.
Gli atti notarili confermano poi la nazionalità
tedesca; il Franchi è detto alemanus sin dai primi documenti
bolognesi; persino i suoi due figli, entrambi nati e cresciuti a Bologna,
vengono identificati come tedeschi nei rogiti notarili. Appare sorprendente
che quattro notai dicano il Franchi romano. La spiegazione più
probabile di ciò è che Hans Frei sia arrivato a Bologna
dopo aver svolto il suo apprendistato o esercitato la professione a
Roma, secondo un itinerario che ha molti riscontri nella vita professionale
dei liutai tedeschi del XVI e XVII secolo.
Gli statuti della corporazione dei liutai
di Füssen, la cui più antica redazione pervenutaci è
del 1562, prevedevano che i tre anni di apprendistato successivi al
garzonato presso un maestro cittadino potessero essere svolti ovunque;
talvolta dunque gli artigiani partivano in giovane età per destinazioni
lontane e favorevoli. La sua provenienza da Roma, dove potrebbe aver
lavorato sino alla metà degli anni '40; l'assenza negli atti
di ogni riferimento alla bottega di Luca Maler, o alle persone che vi
gravitavano (nonostante l'attività del Frei sia per almeno sei
anni contemporanea a quella del Maler) ed una diversa strategia imprenditoriale,
più legata nel caso di Hans Frei ad investimenti in attività
lontane dalla liuteria (ad esempio compagnie per la produzione di stoffe,
o di pane); questi elementi inducono a confutare l'ipotesi che Frei
sia stato allievo di Luca Maler, o che tra i due vi sia stata una collaborazione.
Dal libro "Le Radici del successo
della liuteria a Bologna" di Sandro Pascqual e Roberto Regazzi,
Florenus Edizioni