Liuteria Dalla Quercia
Maestro Liutaio Frank Eickmeyer

Giornali

Luca Maler (ca. 1480 - 1552)

L' importanza di Luca Maler nella costruzione dei liuti ha pochi confronti nella storia. La qualifica che gli fu attribuita da Lütgendorff di Stradivari del liuto gli rende onore. Fu davvero una personalità dalla fama quasi leggendaria, offuscata solo dalla scomparsa del liuto alla metà del Settecento, e la sua abilità imprenditoriale, l'enorme ricchezza accumulata con la conseguente crescita sociale, ed il respiro internazionale dei suoi traffici ne fanno una figura molto simile al grande cremonese.

Certo il primo Cinquecento, in particolare se vissuto in un centro attivo come Bologna, fu un periodo favorevole al commercio; la vicinanza di Venezia e la relativa frequenza degli scambi con la città lagunare offrirono l'occasione per raggiungere i ricchi mercati dell'Oriente prima che la crisi economica e politica dell'Europa meridionale avviasse una contrazione del mercato e si riducesse la ricchezza disponibile.

Al nome di Luca Maler, con quello di Hans Frei, è legata la grande fama della liuteria bolognese; per due secoli si è parlato di liuti di Bologna come sinonimo di strumenti di qualità, ed il prezzo degli strumenti bolognesi era tre-quattro volte più alto della concorrenza. Con il declino dell'uso del liuto nella pratica musicale si perse la memoria dei costruttori un tempo celebri; ma fortunatamente un numero relativamente grande di strumenti di Luca Maler ci è pervenuto, conservato in musei o in collezioni private.

I liuti di Maler erano inventariati nella prestigiosa collezione di strumenti musicali della famiglia Függer, i quali grazie all'immensa ricchezza alla metà del '500 raccoglievano tutto il meglio del mercato d'arte mondiale. In un anonimo metodo per il liuto edito in Inghilterra nel primo '600 si legge che Laux Mauller (Luca Maler) e Hunts Frith (Hans Frei) furono i due migliori liutai vissuti a Bologna: resero i loro nomi immortali per il suono melodioso prodotto da questi famosi strumenti, che saranno i migliori ancora per molto tempo, tanto quanto piacerà a Dio di conservare l'armonia dell'universo.

Constantin Huygens, padre del celebre fisico e matematico Christian, era poeta e musicista; cercando a Parigi un liuto bolognese si sentì rispondere che per avere tali strumenti era necessario pagarli cari, nonostante le loro caratteristiche non li rendessero più adatti all'esecuzione. Un liutista suo contemporaneo gli rispondeva che i liuti del Maler rimasti non erano più di cinquanta: e questo meno di un secolo dopo la morte del maestro. Un liuto di Maler, si legge nel Musick's Monument di Mace, era stato pagato dal re Carlo I d'Inghilterra la considerevole cifra di 100 sterline d'oro.

Nell'opera che, pur tra molti errori storici, concluse splendidamente il periodo di auge del liuto (la 'Ricerca storica sul liuto' del colto liutista tedesco Ernst Baron), comparvero parole di grande ammirazione per la qualità delle opere antiche del Maler e del Frei. Poi, per un secolo e mezzo, sul liuto e sui suoi costruttori si depositò la polvere dell'oblio. Le luci si accesero sui grandi costruttori di violini, i liutai per antonomasia, ed i loro strumenti dominavano il mercato. Ai primi storici che nella seconda metà del XIX secolo si avventurarono sino alle origini dell'arte liutaria (ad esempio, per l'Italia, il Valdrighi), le testimonianze antiche della fama di Luca Maler e dei suoi strumenti risultarono incomprensibili.

Il magazzino dei liuti

Per cominciare ad illustrare la figura professionale di Luca Maler bisogna partire dall' inventario legale dei suoi beni stilato, in due riprese, pochi giorni dopo la sua morte, accaduta il 5 luglio 1552. Questo documento è una fonte primaria su cui fondare la considerazioni tecniche sull'attività di bottega; a parte questo, infatti, l'unico atto in cui si parli specificamente della produzione di liuti è il contratto con Marc Unverdorben del 1530.

Passato lo stupore per la rilevanza del magazzino, una prima considerazione che si può trarre dal lungo elenco di strumenti e materiale da liuteria riguarda la presenza esclusiva di legno già lavorato, mentre manca ogni accenno a legname grezzo.

Le forniture di fondi e di doghe già lavorate potevano arrivare a Bologna direttamente dalla Germania o passare tramite il mercato veneziano, e ci sono conferme di entrambe le procedure. Però la distinzione tra fondi da leuto taiati e schietti suggerisce che il legno viaggiasse in pezzi più grezzi, poi rifiniti dal liutaio. Va ricordata una testimonianza coeva di un diplomatico inglese, che nel 1548, passando da Füssen, registrò come di lì partissero per molte città, ed in particolare Venezia, grandi quantità di liuti finiti o in avanzata fase di lavorazione; e che famiglie locali intrattenevano corri spondenti commerciali in tutta Europa (in particolare, gli Angerer di Rückholz avevano una rappresentanza in Milano ed in Bologna).

L'inventario degli strumenti finiti contava 638 liuti grandi, 366 piccoli, 15 mezzani e 107 di cui manca la specifica. Con oltre 1100 liuti finiti, più di 1300 fondi pronti per essere assemblati, ed alcune casse di doghe, questo è di gran lunga il magazzino di liuteria più ricco del XVI secolo tra quelli di cui abbiamo notizia. Una stima del valore di questi strumenti non è possibile, poiché il notaio non ne specifica il prezzo. Ma estrapolando i dati da un inventario romano del 1602, dove i liuti ordinari sono stimati 8 giuli l'uno (cioè 4 lire bolognesi), e da un inventario parigino del 1648 che comprende liuti bolognesi antichi con quotazioni variabili tra le 30 e le 40 lire tornesi, si può ipotizzare per i liuti del magazzino di Luca Maler un valore complessivo tra le diecimila e le ventimila lire bolognesi.

Si tratta di un ordine di grandezza analogo a quello delle proprietà immobilari del Maler, e di una cifra di tutto rispetto. Il lunghissimo elenco di beni che compare nell'inventario post-mortem di Luca Maler comprende inoltre una grande ricchezza mobile in gioielli e medaglie, vestiti, mobili e altri oggetti. Le caratteristiche della bottega di liuteria di Luca Maler, per come emergono dai documenti, fanno pensare più ad una attività imprenditoriale in senso contemporaneo che non alla tradizionale immagine di quotidiana, tranquilla operosità, che la tradizione associa al liutaio - ed in genere all'artigiano.

Il Senato bolognese in un documento del 1534 lo dice magister Lucas de Leutis Testudinum et Cithararum Opifex. Poiché lungo tutto il XVI secolo resta usuale il termine leutarius, ad indicare gli artigiani che costruiscono strumenti musicali a pizzico o ad arco, con la rara eccezione di qualche citararius, nelle parole del Senato quel 'fabbricante di liuti e di cetre' assimila Luca Maler più agli opifices di tessuti o di sete, i rappresentanti della ricca borghesia artigiana, che non all'artigianato minuto. I suoi comportamenti economici, sociali e professionali confermano la sensazione.

I liutai della bottega di Luca Maler

Non ci sono per ora elementi per affermare che il Maler abbia costruito anche strumenti diversi dal liuto; se non si vuol credere alla qualifica del Senato sopra citata che parla di cetre, oppure alle parole di Bletschacher che gli attribuisce viole e tiorbe.

L' azienda di Luca Maler funzionò con certezza almeno dal 1518 al 1613, e dunque ben dopo la sua morte; fu amministrata dopo il 1552 dalla famiglia del suo erede, probabilmente ancora con l'etichetta del maestro. In molti atti il successore del Maler viene indicato come Leonardo Sturmer alias Maler, o semplicemente come Leonardo Maler.

Nella bottega passarono numerosi liutai, per la maggior parte tedeschi. Di molti di loro resta traccia (nome, provenienza) nei documenti del Maler, poiché furono testimoni dei suoi atti pubblici, legatari di suoi lasciti, o con lui si imparentarono. Un fratello di Luca, Sismondo o Sigismondo, fu liutaio celebrato; ma probabilmente la sua attività si concentrò a Venezia. Si parla di lui come di un artigiano (magister) in due atti bolognesi del 1518, ma è detto assente dalla città. Nel 1527 Sigismondo era sicuramente a Venezia, dove un emissario del Duca di Ferrara Alfonso I d'Este gli chiese la 'ricetta' della vernice dei liuti. Nella interessante corrispondenza pubblicata dal Valdrighi si leggono notizie su di lui: il Maler aveva due ricette diverse per la vernice, aveva fama qui d'havere cervello bizaro, benché fosse in realtà persona a modo, ed essendo ben provvisto di danaro si accontentò come ricompensa di due para de meglioramenti (capitoni) che il Duca graziosamente gli fece pervenire.

L'unico figlio di Luca, Sigismondo (omonimo dello zio), nei documenti bolognesi non viene mai indicato leutarius e nemmeno magister; essendo morto in giovane età non fece probabilmente in tempo a divenire liutaio. Certo questa era la volontà del padre che nel 1530 gli aveva assegnato un abile maestro che lo educasse nell'arte di fabbricare i liuti. L'insegnante scelto dal Maler per il figlio era un maestro celebre del suo tempo, Marc Unverdorben. Nel contratto che stese con Luca Maler l'Unverdorben, definito maestro di liuti, si impegnava per un anno ad assicurare la sua opera a Sigismondo figlio di Luca Maler nella costruzione di liuti, così come in passato aveva fatto con lo stesso Luca.Al maestro di liuti spettava un salario di 30 raynes, moneta tedesca usata frequentemente nei contratti tra alemani, che equivalevano a 75 lire bolognesi, oltre al vitto e all'alloggio.

Unverdorben viene chiamato gargionus del Maler, ma la qualifica è formale, poiché lo stesso notaio qualche riga prima lo aveva detto leutarius et magister a leutis. In questo atto di lui viene indicato solo il nome ed il patronimico, ma la sua identità si ricava con sicurezza dall'incrocio di altri documenti redatti nello stesso periodo. L' Unverdorben era a Bologna nel 1527, testimone di un contratto stipulato tra Luca Maler ed un artigiano tedesco, Giovanni Gisoli alias Batilori (anche in questo caso il soprannome deriva dalla professione di battiloro). Il suo arrivo in città fu probabilmente legato alla parentela con il Maler, che nel primo testamento (del 1530) lo indicò destinatario di un lascito dicendolo suo cugino.

Unverdorben sposò la figlia del Gisoli, Angela; nel contratto con cui Marco si impegnava ad aiutare Sigismondo Maler nella costruzione dei liuti, Angela si impegnava ad aver cura della casa. Dopo il 1530 mancano notizie sulla presenza a Bologna di Marc Unverdorben; ciò conferma la tesi che il liutaio tedesco abbia trascorso la maggior parte della sua vita professionale a Venezia, così come lasciano pensare le etichette degli strumenti da lui firmati. Le vicissitudini che accompagnano il secondo ed ultimo testamento di Luca Maler, perso nell'originale e noto solo in base alla trascrizione di una dichiarazione del suo erede universale, impediscono di affermare con sicurezza che Marco Oserdoni magister leutorum nella città di Venezia, alle cui figlie spetta un lascito, sia l'Unverdorben; benché ciò si debba ritenere molto probabile. Un ruolo di rilievo nella bottega di Luca Maler fu esercitato dai liutai della famiglia Pos.

Anche nel loro caso si mescolarono rapporti di parentela e legami professionali, affari e sentimenti, in un intreccio difficile da districare. Giovanni (Hans) Pos fu cognato di Luca Maler, avendone sposato la sorella Anna. Visse per un certo periodo con la sua numerosa famiglia a Bologna, probabilmente in casa del Maler, poiché qui vennero rogati gli atti relativi al Pos ed ai suoi familiari. Viene qualificato leutarius in tutti gli atti successivi al 1530, e compare tra i creditori del Maler dopo la morte per la somma di 187 lire, probabilmente salari non pagati (è somma di rilievo, equivalente ad alcuni anni di lavoro. Si ricordi che l'Unverdorben, per un anno, percepiva 75 lire). Ma a questa data (1552) Giovanni Pos era rientrato da qualche anno in Germania con la moglie per prendere possesso di beni della famiglia Maler.

Un atto del 1528 lo dice svizzero di Berna (ma non è completamente attendibile) e capitano di ventura. Un ufficiale lanzichenecco, dunque, che combatté anche nella famigerata calata del 1527 e che, smesse le armi, si unì poi al cognato in una attività che continuò anche dopo il definitivo ritorno in Germania, nonostante gravi accuse di concorrenza sleale rivoltegli dai corporati dell'arte dei mobilieri di Schongau. Furono liutai anche i suoi figli. Luca (Laux) Pos, in particolare, è considerato uno dei liutai più celebri della seconda metà del XVI secolo, e ben sette strumenti di sua produzione sono elencati nell'inventario della collezione Függer.

La predilezione verso il piccolo Luca da parte del celebre zio ed il ruolo privilegiato cui era destinato nella strategia "aziendale" emergono dalla cura con cui sono dettati i particolari della formazione professionale del giovane Luca Pos nel testamento del Maler del 1530. Sino al suo diciottesimo compleanno viene disposto che egli abbia diritto a tutto il necessario per essere istruito nella professione del liutaio; oltre ad assicurargli le esigenze primarie, vitto alloggio e vestiti, l'eredità del Maler gli avrebbe permesso di coprire tutte le spese per una completa istruzione. A Luca sarebbero toccati inoltre 10 fiorini, dopo i diciotto anni.

L'inutilità del testamento del 1530, a cui il Maler sarebbe sopravvissuto oltre venti anni, ed il diverso corso delle vicende rispetto alle volontà del maestro, inducono una riflessione: se l'obiettivo di Luca Maler era quello di formare il nipote - cui era legato anche dall'omonimia reverenziale - per poi lasciargli la successione nella gestione della bottega, qualche cambiamento deve essere poi intervenuto a modificarne i programmi.

Luca Pos era ancora presente a Bologna nel 1549, quando ricevette dallo zio una donazione a favore di sua madre nonché sorella del maestro, Anna Maler Pos, di case e terreni in Germania. Dal 1550 la sua presenza è segnalata a Schongau, accanto al padre, e poi la sua carriera si sviluppò a Augusta, dove fu liutaio di corte dei Függer. Gli altri due figli maschi di Giovanni Pos sono nominati negli atti italiani come Zanino e Pandolfo; quest'ultimo potrebbe essere Wolf Pos, liutaio attivo a Praga negli anni '90 del XVI secolo. Anche Zanino probabilmente fu liutaio, destinatario di un lascito da parte di Luca Maler; nell' elenco dei suoi creditori infatti compare un liutaio operaio nella bottega del Maler, Zanino Porus, evidente storpiatura del cognome Pos.

Erede e successore di Luca Maler, e continuatore della attività della bottega, fu Leonardo Sturmer, marito di una nipote del maestro e sorella di Luca Pos. Anche Sturmer era tedesco e liutaio. Questo induce a pensare che il cambio di strategia non sia stato originato da una rottura nei rapporti, ma da ragioni più oggettive: la volontà di prendere possesso dei beni di famiglia in Germania, ad esempio, oppure una probabile crisi commerciale sul mercato italiano attorno agli anni '50 - come apparirà più avanti, in questo periodo si modificano sostanzialmente i comportamenti finanziari del Maler -, oppure ancora un'eccessiva concorrenza sulla piazza bolognese, dove proprio alla fine degli anni '40 si affermò anche Hans Frei.

Leonardo Sturmer è completamente sconosciuto a tutti i compilatori di opere sulla storia della liuteria. La circostanza che non sia giunto sino a noi nemmeno uno strumento recante il suo nome, né alcun riferimento alla sua professione di liutaio, induce a pensare che lo Sturmer abbia utilizzato per i suoi strumenti le etichette a stampa con il nome del suo maestro.

Da alcuni atti appare evidente che lo Sturmer era comunemente chiamato "Maler" (Leonardo Sturmer alias Maler, o anche solo Leonardo Maler); la sua qualifica di liutaio è già esplicita in un documento del 1543, quando abitava nella casa di Luca Maler, e risultava, oltre che liutaio, ebanista. Con la sola indicazione di liutaio, che però nel 1552 mutò in quella più prestigiosa di maestro di liuti, lo Sturmer viene qualificato in numerosissimi atti sino alla metà degli anni '70.

Alla morte di Luca Maler, Sturmer dichiarò di dover ancora ricevere una somma di tutto rispetto (60 scudi, oltre 240 lire) per il suo lavoro di operaio nella bottega del maestro. In quella stessa bottega egli continuò ad esercitare la sua professione; nel 1573 un documento indica sia Leonardo che il figlio Gerolamo maestri e fabbricanti di liuti.

Così la morte di Girolamo, avvenuta nel 1613, può essere fissata come la data finale nella storia della bottega di liuteria della famiglia Maler. Infine va annotato il nome di Giorgio Zamanni, probabilmente a sua volta operaio nella bottega di Leonardo Maler, liutaio tedesco che dopo il 1557 è spesso testimone di contratti rogati in bottega dallo Sturmer. Resta difficile immaginare la destinazione dei tanti strumenti prodotti dal Maler o dai suoi collaboratori. Non si può pensare che fossero assorbiti dal mercato locale: ed infatti i liuti presenti in bottega sono pochi (47 liuti più 27 fondi). Restano due ipotesi: la prima, che dalla bottega bolognese si dipartisse un commercio sovralocale tramite, ad esempio, il mercato veneziano, diretto anche verso i mercati orientali. Questa ultima tesi è supportata dalla tradizione, che ha sempre ritenuto l'Oriente un ottimo cliente per i liutai, e da un particolare dell'inventario legale dei beni del Maler, dove compaiono alcuni oggetti preziosi provenienti dalle corti orientali.

Inoltre, con una lettura moderna, si può supporre che in tempi travagliati un ricco magazzino di strumenti musicali apparisse come un immobilizzo sicuro di capitali, convertiti in merce non deperibile che anzi si apprezzava con il tempo, ed in più poco appetibile dai malintenzionati.

Restano da segnalare, dall'inventario del 1552, le altre voci interessanti per la ricostruzione della bottega del liutaio e della sua vita professionale nel XVI secolo: si trovano custodie e serrature per conservare i liuti, casse di corde per i liuti, colla da lavoro e vari attrezzi da falegnameria.

Luca Maler: la vita e la fortuna economica

Poiché l'atto notarile, in genere la più ricca fonte di informazioni sulla vita quotidiana nel passato, si configura come il comportamento di un soggetto adulto e a tutti gli effetti facente parte della comunità, non è sorprendente che - nonostante il Maler fosse arrivato a Bologna a cavallo del 1500 -, i primi documenti bolognesi che lo nominano risalgano al 1518.

Si tratta di due atti relativi all'affitto di un terreno in campagna, e all'acquisto di beni immobili su questi terreni. Nel secondo di questi rogiti, il Maler pagò in contanti 300 lire bolognesi, somma di una certa rilevanza. Prende avvio la strategia di investimenti del Maler, i cui atti mostrano come egli si sia dedicato inizialmente alla formazione di una significativa proprietà terriera nel contado bolognese, per passare in seguito, dopo una fase di investimenti nell'edilizia cittadina attorno agli anni '30, alla speculazione finanziaria vera e propria.

Probabilmente Luca Maler giunse a Bologna nei primissimi anni del 1500, prima del 1503. Un periodo particolarmente difficile per la vita politica ed economica della città, oppressa dalle guerre d'Italia, dalle pressioni pontificie per riconquistarne il dominio, dalla crisi della signoria bentivolesca e dalle continue carestie.

In occasione di una di queste, proprio nel 1503, il Senato deliberò di espellere i forestieri che si trovassero in città da meno di due anni, e un analogo provvedimento fu disposto per l'estate del 1504. Se Luca Maler avesse tentato il suo ingresso nella comunità bolognese in questi anni sarebbe stato colpito da queste espulsioni. In questo caso si deve ipotizzare un processo di integrazione 'a tappe' da parte del Maler, ipotesi che richiede uno stretto collegamento del liutaio con almeno due comunità tedesche, una fuori Bologna (probabilmente quella veneziana) che lo accogliesse durante il bando, ed una all'interno della città, a cui far riferimento in occasione dei ritorni.

La residenza del Maler in Bologna era, nel 1518, sotto la minuscola parrocchia di San Martino dei Caccianemici Piccoli, e cioè a ridosso dell' Ufficio delle Bollette, principale punto di riferimento per gli stranieri che entravano in città, che vi dovevano ritirare la bolletta obbligatoria per poter alloggiare in Bologna.

La sua fama di liutaio era già diffusa negli anni '20, come appare evidente dalla sempre maggiore disponibilità di danaro, ma soprattutto da una lettera, che ci è pervenuta, di un cliente di grande prestigio: il marchese Federico II Gonzaga, che nel 1523 richiese al fratello Don Ercole, a Bologna, un liuto del Maler, uno lyuto mezano cioè che non fosse grande ne anche piccolo et bono in excellentia.

Negli anni '20, come detto, numerosi atti sembrano affermare un interesse del liutaio verso la costituzione di una consistente proprietà agricola, concentrata in una località del contado bolognese, detta à San Sixto, nel comune di Quarto Superiore. Dopo la sua morte la possessione di campagna misurava poco meno di 60 tornature (circa 12 ettari), dotate di una casa padronale e numerosi edifici accessori.

Con l'acquisto nel 1526 della casa posta in via Marescalchi all'angolo con via San Mamolo, una casa prestigiosa con torre ricordata dai principali memorialisti bolognesi, il liutaio compì il primo passo nel percorso della sua ascesa sociale. Si trattava di una grande casa padronale composta dal piano nobile, in cui si trovavano tra l'altro la salvaroba, tre camere e due stanze da li leuti; un'altana, necessaria per la verniciatura degli strumenti, con vari camerini; e, al piano della strada, numerose botteghe, una delle quali era la butegha di liuteria vera e propria, alcune camere, la loggia (loza), la stalla e la cantina, oltre al cortile con il pozzo.

Rispetto ai rogiti precedenti è molto più alto l'ordine della spesa, ammontante ora a 2750 lire, pagate in contanti. Ma, più importante, mutarono i referenti del tedesco: non più gli artigiani, calzolai pellicciai vellutai battiloro ecc., con i quali sinora aveva trattato e contrattato, bensì divennero suoi interlocutori i rappresentanti di alcune delle famiglie più in vista di Bologna, i Boccadiferro, i Gozzadini, i Bolognetti, i Fantuzzi, ed altri ancora.

Alla fine degli anni '20 il successo commerciale della bottega di Luca Maler appare indiscutibile. L'insediamento nel cuore di Bologna (in realtà non lontano dalla precedente abitazione) è certamente legato alla tradizionale presenza, sulla via San Mamolo, delle botteghe liutarie della città. Già celebre ed abile commercialmente, il Maler deve aver sfruttato la grande occasione che la città visse all'inizio del 1530, in occasione dell'incoronazione di Carlo V ad imperatore. Come scrisse un cronista, "Quando si partirono da Bologna Papa Clemente Settimo & l'Imperatore Carlo Quinto, lasciarono i cittadini tutti allegri, & contenti, così per la gran varietà di cose nuove, & per li trionfi, che si erano veduti; come per l'abondanza de i danari ch'erano restati nella Città, per lo gran concorso de i Prencipi, Signori, & Cortigiani di ogni sorte, i quali per farsi honore havevano speso largamente in tutte le cose".

Dopo l'acquisto del corpo principale, il Maler proseguì nell'edificazione della sua residenza secondo una prassi frequente nella creazione degli edifici patrizi, cioè acquistando le casupole limitrofe e procedendo, con un ristrutturazione, al loro accorpamento. In relazione alle procedure connesse con questa attività edilizia Luca Maler dovette richiedere un'autorizzazione al Senato bolognese per poter occupare la strada pubblica durante i lavori di rifacimento, e. nel verbale con cui gli venne concesso il benestare, nel 1534, egli viene qualificato maestro fabbricatore di liuti e cetre.

Durante le sue assenze da Bologna era il figlio Sigismondo che agiva con procura, contrattando acquisti e locazioni. Va segnalato però che dopo il 1518 e sino alla morte, Luca Maler lascia tracce certe della sua presenza in città quasi senza soluzione di continuità, a parte un breve arco di tempo tra 1535 e 1536. Il patrimonio immobiliare, una volta costituito, fu oggetto di speculazioni: i terreni di campagna venivano concessi a mezzadria; mentre le proprietà di città, in particolare le numerose botteghe, erano affittate ad artigiani.

Nella grande quantità di contratti, relativi prevalentemente a botteghe, conclusi tra il 1537 ed il 1541, il Maler dimostra una grande disponibilità di danaro, anche sotto forma di scudi d'oro, moneta sovralocale che dovrebbe essere conseguenza e testimonianza di scambi commerciali con l'estero. Gli atti di questi anni mostrano anche la spregiudicatezza del tedesco, che si accentuò col passare del tempo sino a condurlo ad operazioni poco chiare, i cui effetti gli costarono numerose cause civili, di cui lascerà spiacevole eredità anche ai suoi successori.

Dopo il 1541 l'attività finanziaria di Luca Maler appare molto mutata rispetto al passato. Resta documentato, negli ultimi dieci anni di vita del maestro, un solo acquisto immobiliare, mentre numerosi atti riguardarono movimenti esclusivamente finanziari, in particolare prestiti e depositi. Alcune rilevanti acquisizioni di denaro liquido non trovano nei documenti rimasti la prova di un successivo investimento di analoga entità. Ciò si può spiegare in due modi: o con difficoltà economiche del Maler; oppure con l'obiettivo della creazione del rilevantissimo magazzino commerciale, come effettivamente è quello inventariato dopo la sua morte, il cui valore è paragonabile con quello delle proprietà immobiliari. Il bisogno di liquidità si manifesta nell'assunzione di numerosi depositi in custodia di valori monetari, così come resta documentato che il Maler si rivolgesse ai banchi ebrei per ottenere prestiti su pegno.

Calcolare con precisione la sua fortuna alla morte risultò già difficile per il suo erede, che accettò con beneficio di inventario; e lo è tanto di più sulla sola base dei documenti pervenutici. Il valore dei beni immobili venduti dopo la sua morte fu di poco inferiore alle 20.000 lire, mentre i beni mobili - tra i quali spiccano strumenti musicali, gioielli e medaglie, ricche vesti ad altro ancora- dovevano godere complessivamente di una stima di molto superiore.

I debiti 'reali', cioè relativi a danaro preso a prestito o pagamenti non onorati, ammontavano a poche migliaia di lire; ciò che disgregò la sua ricchezza fu la necessità di pagare numerose doti, promesse o da restituire, per un totale di quasi 20.000 lire bolognesi, ed i molti lasciti testamentari disposti pochi mesi prima della morte.

La famiglia

Le complicate vicende familiari dei Maler possono essere in buona parte ricostruite grazie ai molti documenti rimasti e alle frequenti indicazioni di parentela che vi sono contenute. L'origine della famiglia è sicuramente tedesca; Luca Maler proveniva dall' Alamania Alta secondo un documento del 1520, e nel 1531 il notaio lo diceva originario di Augusta. Poi viene indicato genericamente Alemanno, Germano o Teutonico; in un atto del 1540 si sottolinea la provenienza dal ducato di Baviera, e nel 1542 lo si dice tedesco proveniente da Saura (Saulorn) in Baviera. Nel 1549 un atto necessariamente preciso per quanto riguarda la localizzazione dei luoghi lo specifica proveniente dalla località di Tenga (Thengen, nel Baden), diocesi di Augusta, ducato di Baviera.

Luca, la cui nascita è collocabile tra il 1475 ed il 1485, era figlio di Conrad Maler, che risulta già morto negli anni '20 del XVI secolo, e di Margherita, ancora viva all'epoca della redazione del primo testamento (1530), in cui il Maler le assegnava un vitalizio di 10 fiorini l'anno (che, al cambio fissato di 2:10 lire bolognesi per fiorino, sommano 25 lire l'anno); la cifra appare esigua ma si sa che la madre disponeva di proprietà in Germania. Il Maler scese in Italia, come detto, nei primissimi anni del '500; ed in Italia venne a vivere anche un suo fratello, il liutaio Sigismondo, attivo a Venezia. Si ritrova un cenno a questo fratello nell'inventario legale di Luca del 1552: tra le carte del maestro c'era Uno instrumento di procura ... a rescodere ducati 35 doro da sismondo fratello di detto m.o lucca per vigor de un scripto privato.

In Italia venne anche una sorella, Anna moglie del liutaio Hans Pos. Dopo gli anni '40 la famiglia Pos si trasferì di nuovo in Germania prendendo possesso dei beni immobili donati loro da Luca Maler. Nei confronti di Anna, infatti, il Maler dimostrò sempre grande affetto: le destinò un legato di 20 raynes seu Bisilachos (50 lire) l'anno nel testamento del 1530; nel 1549 le intestò alcuni beni immobili a Thengen in Baviera, e nel testamento del 1552 Anna ottenne un vitalizio di 6 scudi l'anno (circa 24 lire).

Le sue tre figlie ereditarono dal Maler 100 fiorini ciascuna (250 lire), ed i tre figli maschi ebbero 50 fiorini ciascuno. Della prima moglie di Luca Maler, Giulia alias Marsibilia del fu Giovanni tedesco, restano poche notizie. Non si può affermare con sicurezza che suo padre fosse quel Giovanni dei liuti attivo a Bologna alla fine del '400; certo era un uomo facoltoso, avendo pagato per la figlia una ricca dote di 200 ducati d'oro larghi (all'inizio del XVI sec. circa 700 lire bolognesi).

Nel suo primo testamento, Luca Maler dispose che in caso di morte fosse restituita a Marsibilia la sua dote più altrettanto danaro come lascito, oltre ai mantelli, i vestiti ed i gioielli. Dall'unione tra il Maler e Marsibilia nacque un unico figlio, chiamato Sigismondo come lo zio paterno; la sua breve vita appare come il fulcro su cui poggiò la strategia sociale di Luca Maler, e la sua morte ne simboleggia il sostanziale fallimento. La data di nascita di Sigismondo non dovette essere lontana dal 1505, la sua morte accadde prima del 1542.

Nell'estate del 1531 si celebrò il suo matrimonio con Orsolina, figlia del pellicciaio Taddeo Ghelli, altro rappresentante - più fortunato del Maler - dell'ascesa di artigiani forestieri nella società bolognese all'inizio del XVI secolo. Da questo matrimonio nacque una figlia, Maddalena Maler. Dopo la morte di Sigismondo, Luca Maler, unendosi con il consuocero Taddeo Ghelli in una strategia matrimoniale dalle grandi ambizioni, progettò una ardita combinazione: nel 1542 venne concordato il matrimonio tra Orsolina Ghelli vedova di Sigismondo ed un ricco mercante appartenente ad una delle famiglie emergenti nell'aristocrazia bolognese, Bartolomeo Bolognetti; e contemporaneamente la promessa di matrimonio tra Maddalena Maler, ancora bambina, ed il giovane figlio di Bartolomeo, Francesco Maria Bolognetti.

L'ingresso delle famiglie Maler-Ghelli nella dinastia Bolognetti ebbe però un costo monetario molto elevato, il cui onere spettò esclusivamente al Maler. Riguardo ad Orsolina Ghelli, il liutaio dovette pattuire la restituzione al nuovo marito della vedova della ricca dote nuziale (400 ducati d'oro, cioè 1500 lire bolognesi circa), che nel 1532 Taddeo Ghelli aveva versata al Maler; aumentata ora di 600 lire per il lucro sopravvenuto.

Riguardo a Maddalena, le pretese del Bolognetti appaiono straordinariamente esose: Luca Maler promise di pagare, il giorno del matrimonio, 2000 scudi d'oro (cioè 7500 lire bolognesi circa), dunque molto di più del valore della possessione di San Sisto, o l'equivalente di cinquanta anni di stipendio del maestro di cappella di San Petronio. Il colpo di scena, nella storia della famiglia Maler, non fu però il matrimonio di Maddalena, celebrato nell'ottobre del 1548, ma quello dello stesso Luca Maler, che nel maggio 1549 sposò in seconde nozze Emilia Fantuzzi, figlia del nobile Gandolfo, appartenente ad una delle principali famiglie cittadine.

I fratelli di Emilia, in qualità di eredi del patrimonio paterno, pagarono a Luca una dote di 1200 lire. Non è chiaro il significato di questo gesto, compiuto da un uomo già in età avanzata, anche se prevale l'impressione della strategia sociale. Dopo la morte del Maler si venne inoltre a saper e che, alla fine degli anni '40, egli aveva concepito una figlia, riconosciuta e chiamata Margherita come la madre del liutaio, da una donna apparentemente di modesta condizione, Bernardina Falcone da Carpi.

Nel palazzo di strada San Mamolo, oltre a Luca Maler e ad Emilia Fantuzzi, restò - dopo la partenza di Maddalena - solo la famiglia di una nipote di Luca, Barbara Pos. Figlia di Anna Maler e Hans Pos, Barbara si era sposata con il liutaio tedesco Leonardo Sturmer, il cui ruolo nella bottega e nella vita privata del Maler si andava facendo sempre più rilevante, a partire dagli anni '40 (quando si trova il primo segno della sua presenza a Bologna), sino a divenirne l'erede universale assieme ai due figli maschi nati dal suo matrimonio con Barbara, Girolamo e Giovanni Battista (nacque in seguito un terzo figlio maschio, Luca).

La designazione ad eredi universali degli Sturmer deve essere giunta a sorpresa, a giudicare dal putiferio di liti che originò, e che Leonardo sbrigò lentamente, tra 1552 e 1558, liquidando il patrimonio immobiliare ma difendendo il capitale di bottega, sottoposto a vari sequestri. L'impressione del lettore del XX secolo è che Maler non intendesse lasciare i suoi averi ai Bolognetti e ai Fantuzzi (subito dopo la morte di Luca, Emilia Fantuzzi si risposò), e che abbia ritardato il più a lungo possibile anche il pagamento di quanto effettivamente dovuto; può anche essere che desiderasse mantenere integro e in mani esperte lo straordinario magazzino della bottega di liuteria, a cui sembra aver dedicato tante energie. L

eonardo Sturmer continuò a lavorare a lungo, tenendo bottega di fronte a quella di Hans Frei. Nel 1569 veniva ancora qualificato leutharius: in quell'occasione dispose la dote in favore della figlia Sibilla, che andava in sposa ad un artigiano tedesco secondo la migliore tradizione di famiglia. L'ultima propaggine documentata della famiglia Maler si spinge già nel XVII secolo, all'inizio del quale si trovano le tracce di Maddalena Maler Bolognetti, ormai settantenne. La figlia del tedesco Sigismondo era una magnifica e nobile Signora, e suo padre ora veniva ricordato come magnifico Signore; la ricca vedova nell'aprile 1599 prestò del danaro ad un altro aristocratico bolognese, il conte Luigi Ranuzzi de' Manzoli, che l'anno dopo, dunque già nel nuovo secolo, restituì alla vecchia Maddalena soldi ed interessi. Anche la presenza della famiglia Sturmer, il cui cognome venne italianizzato in Sturni, è documentata per tutto il Seicento sino ai primi anni del 700. La 'Natio Germanica' a Bologna Risulta evidente come il rapporto tra Luca Maler e la comunità tedesca a Bologna abbia costituito un capitolo importante nella vita del liutaio, così come accadde per la gran parte dei numerosi liutai tedeschi attivi in città tra il secolo XVI ed il XVII. La

caratteristica comune appare la forte coesione all'interno del gruppo, almeno sino a quando passaggi decisivi (in particolare i matrimoni) non rendessero possibile l'integrazione nella società ospitante: un caso esemplare in questo senso è rappresentato dalle vicende della dinastia dei Pfanzelt, che in tre generazioni completarono un'assimilazione che portò anche all'italianizzazione del cognome. Il gruppo straniero si identificava in tradizioni professionali comuni (a Bologna i tedeschi erano in genere studenti, soldati, orafi, battiloro, liutai), nell'individuazione di zone urbane di residenza (nel caso bolognese, la parrocchia di San Giovanni Battista dei Celestini, densamente abitata da tedeschi), in comportamenti originali (nell'inventario legale dei beni di Luca Maler spicca ad esempio una Imagine de un Imperatore de rilevo). Anche l'atteggiamento cultuale sembra essere caratteristico della comunità, che individua chiese e santi di riferimento (in particolare, esisteva una chiesa di S.Maria degli Alemanni); non ci sono però segni evidenti di interesse verso l'eresia protestante, interesse che nel 1570 costò al liutaio tedesco Caspar Tieffenbrucker, allora a Lione, il sequestro di otto strumenti musicali dalla bottega. Anzi, il caso di Luca Maler richiama alla più ligia ortodossia cattolica.

Nel 1530, nel suo primo testamento, il liutaio dispose un lascito di 5 soldi a favore dell'altare della Vergine di Hannover nella chiesa bolognese di San Giovanni dei Celestini. Pur non essendoci notizie di questa venerazione, esiste tuttora nella chiesa una statua lignea della Vergine voluta dai burattini tedeschi (i garzoni che burattavano la farina, cioè la separavano dalla crusca), in una cappella da loro mantenuta fino al 1609, quando per non poter più sostenere le spese la vendettero ai colleghi italiani (i quali sostituirono la statua con un quadro della Madonna di Pompei).

Esisteva un forte legame tra i tedeschi di Bologna e la chiesa di San Giovanni Battista dei Celestini, dove la famiglia Maler tenne una cappella, comprata da Luca e dismessa dai suoi eredi nel 1573.

Riflessioni finali

La vicenda di Luca Maler offre, nell'ambito della storia della liuteria, molteplici spunti di riflessione, anche grazie alla ricchezza della documentazione rimasta. Nel suo sviluppo coinvolge molti aspetti umani e professionali: l'emigrazione e l'integrazione nella comunità ospitante, la bottega, le strategie di crescita sociale e finanziaria, le permanenze nei rapporti con la nazione d'origine, le trasformazioni nel senso del tentativo di essere assorbiti dalle strutture più rappresentative della nuova patria, come l'aristocrazia.

I risultati finali, nel caso del Maler, sono controversi. Indiscutibile è il suo successo commerciale, che gli consentì di raggiungere una ricchezza che lo pose ai massimi livelli all'interno della società degli artigiani. Questa ricchezza era legata agli esiti della sua attività artigianale e commerciale, poiché i proventi da investimenti e speculazioni appaiono alla fine poco rilevanti. In questo successo vanno ravvisate abilità fuori dal comune, in particolare in senso imprenditoriale: il numero di strumenti rinvenuti in magazzino alla morte del maestro, oltre 1100 liuti finiti ed altrettanti in diverse fasi di costruzione, induce a rileggere la figura del Maler come un abile gestore di manodopera, che sapeva circondarsi di artigiani di grande efficienza, e soprattutto come un intraprendente mercante, nella miglior tradizione cinquecentesca.

Evidentemente il Maler sapeva, o pensava di sapere, come collocare sul mercato - certo un mercato internazionale, di ampio respiro - un numero così grande di strumenti, ed un magazzino così consistente doveva rappresentare ai suoi occhi un capitale prontamente realizzabile.

Meno felice è invece l'esito della strategia sociale di Luca Maler. Dal suo ingresso nella società bolognese in poi, la rete delle relazioni familiari e commerciali sembra seguire una trama ben precisa. A parte il costante rapporto con la comunità tedesca, gli interessi del Maler sembrano dirigersi preferibilmente verso l'ambiente artigianale prima degli anni '40, e verso l'aristocrazia cittadina negli ultimi anni di vita.

La morte di suo figlio Sigismondo, e dunque la perdita dell'erede che potesse proseguire nell'espansione commerciale dell'attività liutaria, deve aver indotto il Maler ad un ripensamento delle ambizioni sociali, spingendolo ad avviare una politica matrimoniale che favorisse la giovane nipote Maddalena.

Il matrimonio del vecchio Luca Maler con una Fantuzzi risulta invece più problematico da interpretare: che sia stato motivato dalla speranza di un figlio legittimo, dopo aver concepito in tarda età una figlia illegittima; o che sia stata la brama di incassare una dote, per altro non particolarmente ricca; o che sia stata una più sottile ambizione, che sfugge al lettore del XX secolo, in tutti i casi sembra di poter affermare che il bilancio finale dei tre anni di matrimonio con la Fantuzzi sia stato fallimentare, al punto che la moglie venne ignorata nel testamento definitivo.

I tentativi di integrazione del Maler sortirono dunque scarsi risultati. Le testimonianze dei rapporti con la comunità tedesca evidenziano un forte legame con la cultura d'origine; mentre i vincoli con la società bolognese, apparentemente condizionati da motivi d'interesse, erano fragili e si dissolsero alle prime difficoltà. Tutto ciò è ben documentato da numerosi atti che riferiscono delle cause civili tra l'erede universale di Luca Maler da una parte, e l'intero gruppo dei 'parenti' bolognesi dall'altra.

La quantità di questi atti, ed il loro contenuto polemico, induce a pensare che la scelta del vecchio liutaio di lasciare tutto il suo patrimonio allo Sturmer, cioè ad un artigiano e tedesco, sia stata una presa di posizione molto chiara, interpretata con dispetto dalla comunità bolognese.

La famiglia Frei

Se dalla storia della liuteria abbiamo ereditato poche notizie relative alla vita di Luca Maler, quelle che ci sono pervenute riguardo Hans Frei sono praticamente nulle. Prima del contributo di Baron, che lo poneva accanto al Maler per abilità e periodo cronologico - dunque pensandolo attivo nel primo XV secolo -, avevano accennato a lui come ad uno dei più grandi liutai del tempo antico le stesse fonti che nominarono il Maler.

Le informazioni su Frei restano minime anche nel XIX secolo; all'inizio del '900, nella grande opera enciclopedica del Lütgendorff, la voce su Hans Frei offre informazioni preziose accanto ad errori fuorvianti. Egli legge e riporta correttamente il cognome del liutaio, scrivendo FREI e non Frey come nel passato. Fornisce poi di seguito molti dati biografici, non riferiti però al liutaio bolognese ma all'omonimo Hans Frei, scienziato musico poeta e altro ancora, che fu anche suocero di Albrecht Dürer; questo Hans Frei visse però una generazione prima del liutaio, fu probabilmente a Bologna in gioventù, ma svolse la sua attività in Germania sino alla morte nel 1523.

I contributi più recenti sono almeno serviti a chiarire la distinta identità dei due Hans Frei, benché nulla abbiano detto riguardo alla biografia del liutaio bolognese. Tra gli strumenti superstiti che recano l'etichetta di Hans Frei (un liuto al Museo di Stoccolma, due liuti al Kunsthistorische Museum di Vienna, un liuto, sempre a 11 cori e circa del 1550, presso il Warwick Museum di Londra) viene citata una tiorba del 1597 del Civico Museo Medievale di Bologna. Su questo strumento è opportuno soffermarsi: Van der Meer, in una recente analisi, lo definisce un liuto tenore attribuendo la patente di originalità al solo corpo (guscio e tavola); ma dubita che si tratti dell'assemblaggio di due strumenti diversi. In origine lo strumento poteva avere tra sei e otto ordini, portati a dieci con una modifica successiva (secoli XVII-XVIII). Van der Meer esclude che la cassa possa provenire dalla bottega di Hans Frei, per alcune difformità costruttive e per le caratteristiche dell'etichetta (che nei liuti originali non reca mai la data). Ora è invece possibile, grazie ai numerosi documenti, offrire una diversa ipotesi, che confermerebbe autenticità di strumento ed etichetta. Hans Frei (ca. 1505 - ca.1565).

Chi cercasse documenti relativi ad Hans Frei negli archivi bolognesi resterebbe deluso per l'assenza del minimo accenno. Esiste invece la possibilità di ricostruire, con dovizia di particolari, le vicende biografiche del liutaio, solo chiarendo un presupposto: spesso i cognomi tedeschi, negli atti italiani, venivano storpiati (e così succederà ancora nel XVII secolo) o trascrivendoli secondo la pronuncia, o traducendoli 'all'italiana'. La versione del cognome Frei in Franco oppure, secondo l'uso padano, inF ranchi, cioè 'libero', traduzione letterale del termine tedesco, è attestata già da un esempio quattrocentesco, un Lienhart Frei corrispondente del banco Medici che nei documenti medicei diviene Leonardo Franco. Nel caso del liutaio, la ricerca si è rivelata fruttuosa condotta su Giovanni (italiano per Hans) Franchi. Un indizio proveniva già dall'articolo di Frati sui liutai bolognesi, là dove è nominato un Giovanni Franchi liutaio a Bologna nel Cinquecento; ma la breve citazione del Frati (benché precisa) risultava fuorviante indicando la provenienza da Roma del liutaio.

Per suffragare l'ipotesi che Hans Frei e Giovanni Franchi siano la stessa persona è stato necessario prima di tutto evidenziare che il Franchi era liutaio ed era tedesco. La sua qualifica di liutaio viene ribadita da tutti i notai dai quali egli fa rogare i numerosi atti che lo riguardano (almeno trenta redatti da sei diversi notai). Oltre all'esplicita apposizione di leutarius, si ritrova il soprannome de leutis, tante volte attribuito al Maler, e viene usato una volta anche magister leutorum che manifesta il suo ruolo di capo-bottega.

Gli atti notarili confermano poi la nazionalità tedesca; il Franchi è detto alemanus sin dai primi documenti bolognesi; persino i suoi due figli, entrambi nati e cresciuti a Bologna, vengono identificati come tedeschi nei rogiti notarili. Appare sorprendente che quattro notai dicano il Franchi romano. La spiegazione più probabile di ciò è che Hans Frei sia arrivato a Bologna dopo aver svolto il suo apprendistato o esercitato la professione a Roma, secondo un itinerario che ha molti riscontri nella vita professionale dei liutai tedeschi del XVI e XVII secolo.

Gli statuti della corporazione dei liutai di Füssen, la cui più antica redazione pervenutaci è del 1562, prevedevano che i tre anni di apprendistato successivi al garzonato presso un maestro cittadino potessero essere svolti ovunque; talvolta dunque gli artigiani partivano in giovane età per destinazioni lontane e favorevoli. La sua provenienza da Roma, dove potrebbe aver lavorato sino alla metà degli anni '40; l'assenza negli atti di ogni riferimento alla bottega di Luca Maler, o alle persone che vi gravitavano (nonostante l'attività del Frei sia per almeno sei anni contemporanea a quella del Maler) ed una diversa strategia imprenditoriale, più legata nel caso di Hans Frei ad investimenti in attività lontane dalla liuteria (ad esempio compagnie per la produzione di stoffe, o di pane); questi elementi inducono a confutare l'ipotesi che Frei sia stato allievo di Luca Maler, o che tra i due vi sia stata una collaborazione.

 

Dal libro "Le Radici del successo della liuteria a Bologna" di Sandro Pascqual e Roberto Regazzi, Florenus Edizioni